Anna Maria Acocella
Sono sicuramente molti e diversi i modi in cui ciascuno di noi si relaziona con la morte.
I modi cambiano nella misura in cui ci si confronta con l’esperienza dell’approssimarsi della propria morte, con quell a di una persona cara o con quella di una persona estranea.
Cosi come cambiano in relazione alla personale visione del mondo, alla propria personality, alla religione, al contesto emozionale e al contesto familiare in cui ciascuno di noi vive.
Non prendere posizione a un tentativo impossibile.
Mentre la rimozione della morte sembra essere una caratteristica della coscienza contemporanea, la rimozione del morire a un’esperienza molto piu difficili da realizzare.
Personalmente, pur avendo vissuto esperienze d i morte di persone molto care nel corso della mia vita, non a molto che ho incominciato a considerare la vita e la morte nella loro vertiginosa contrapposizione ed il vivere e il morire come esperienze che sconfinano l’una nell’altra.
Ed e attraverso una ” narrazione” che vorrei condividerlo.
Ogni evento vissuto, quando viene narrato, e la pratica clinica continuamente lo dimostra,
si trasforma.
La narrazione intercede fra passato e futuro.
Situandosi nel presente connette, disfa, riunisce, elabora , rista bilisce relazioni e ne inventa altre.
E questo cambiamento a orientabile verso una maggiore consapevolezza e integrazione di se
La narrazione a strettamente legata alla definizione di identity — la propria storia-.
E la nostra storia a un segmento della storia di altre vite, a iniziare da quella dei propri genitori.
Eravamo amiche, ma non come spesso piace definirsi, amiche del cuore.
Lei per me, lo a diventata quel giorno.
Ci incontravamo spesso e parlavamo molto.
Quello che dividevamo a stato l’atrio del portone di casa.
Un giorno, proprio in quell’atrio Patrizia mi disse: ho rifatto la TAC a un cancro;
domani comincio la chemio.
E’ un po’ che lo so ma non sapevo come dirtelo.
Un cancro, esclamai quasi incredula. Com’e possibile Pat?
Si un cancro al polmone.
Non riuscii a dire nulla e anche lei.
Il silenzio si riempi di lacrime altrettanto silenziose e di un contatto fra le nostre
mani. Io stringevo le sue alle mie e lei le mie alle sue come a cercare solidarieta
reciproca e un po’ di speranza.
“Posso fare qualcosa per te?”
Le chiesi, sapendo che fare qualcosa per lei , se solo mi avesse dato la possibilita, avrebbe significato fare qualcosa per me; probabilmente per scappare e non sentire il senso di impotenza e di sgomento che stavo provando.
“Non lo so” rispose.” Adesso non lo so.” “Vado a prendere i bambini a scuola.” Aggiunse.
E io pensai: i bambini, sono cosi piccoli!
Mi lascio le mani, si asciugo gli occhi e con un filo di voce disse: “non so come fare con i bambini. Non ce la faccio a stare con lo ro e non ce la faccio a stare senza di loro. Rocco mi aiuta molto ma questo mi porta a pensare a quando non ci saro piu e allora un dolore fortissimo mi spinge a stare con loro comunque e comunque io mi senta.E a volte sono nervosa, stanca, li tratto male poi mi pento, mi sento in colpa;ma anche un minuto in piu con loro mi sembra importante”.
Si interruppe e mi guardo.
“E’ importante Pat”. Le dissi.
Sorrise appena, come consolata, – mi sfioro la mano- ” beh! Vado a prenderli a scuola, poi magari se sei a casa passo a trovarti.”
“Ho promesso a Isabella di portarla alle giostre oggi. Ti va di venire?”
“Non so, forse. Sentiro i bambini”.
E mi saluto e la salutai.
Mi sentivo incollata alla mattonella del pavimento dove c’era stato questo incontro -, dove era accaduto tutto. Non riuscivo, non volevo andare ne avanti ne indietro. Volevo stare li, come a voler rispettare qualcosa di solenne, di molto grande che stava avvenendo e che era avvenuto.
Come un’eco, sentivo ripetere le sue parole, “e un cancro, domani com incio la chemio”
Cercavo di raffigurarmi un polmone, il suo, con il cancro. Non riuscivo a vedere nulla. Fu quando spostandomi da quella mattonella, lungo la strada che stavo percorrendo, che vidi davanti a me un’enorme massa nera pronta a scoppiare. Ma a quel punto mi chiesi se quella massa era il suo cancro o il mio dolore.
Non venne alle giostre quel giorno e non la vidi nemmeno il giorno dopo.
Passo circa una settimana e la chiamai.
“Come stai”?
“Male”, rispose.
“Sto giy male ed a solo il primo ciclo.Non lo sopporto”.
“Hai dolore?”
“Si, ma il dolore pia forte e il pensiero di lasciare Rocco e i miei figli, sono cosi
piccoli!”
“Adesso non li stai lasciando Pat, lasciati delle possibility che questo non accada; ti
stai curando!”.
“Io non mi sono mai lasciata delle possibility, lo sai!” Rispose.
“Si, lo so, ma c’e sempre una prima volta, no?”
“E’ che mi sembra tutto cosi inutile, pia grosso di me. E’ strano no, sentirlo dire da
un medico.”
“No, non mi sembra strano Pat.”
“E’ la prima volta nella mia vita che ho paura, paura per me – veramente.”
Di che cosa hai paura? Le chiesi.
Ho paura di non farcela mi rispose piangendo.
Pensa che bello se tu ce la facessi Pat! Esclamai, trattenendo un nodo di profonda
commozione.
“Si, sarebbe bello”.
“Ce la metterai tutta vero? Come hai sempre fatto.”
“Provero”, mi rispose un po’ esitante. “Provero, ma a dura”.
“Si, aggiunsi io a dura.”
“Posso mandarti gia i bambini, cosi mi riposo un po’.”
“Si, li aspetto, magari li porto un po’ fuori, se vuoi, c’e il sole e l’aria a ti epida.”
“Allora gli metto una felpa.”
“Si, ciao.”
Non uscimmo pia. Rimanemmo a casa.
Io decisi di occuparmi delle piante del terrazzo mentre sentivo e vedevo i suoi
bambini giocare con la mia.
C’era un atmosfera tranquilla e giocosa. Mi piaceva vederli gio care insieme.
Mentre zappettavo la terra e potavo le piante, immagini della mia vita si
sovrapponevano. Mi sentivo Patrizia, mia madre, morta del suo stesso male, e io
bambina segnata dallo stesso destino dei suoi. Mi a stato impossibile identificarmi
con mia figlia. Ma la mia paura, soffocata e impastata con la terra dei vasi che
continuavo a svuotare e riempire, era questa.
I giorni passavano e Patrizia continuava la sua lotta.
Quando la vedevo o la sentivo avevamo sempre qualcosa da fare o da dirci. La n ostra
comunicazione era fluida ed intensa. Questo mi sembrava straordinariamente bello.
Era la sua vita, la loro vita che continuava, non solo un cancro che cresceva.
Finiti i primi cicli di chemio torno a lavorare, come medico diabetologo, stimata ed
apprezzata.
Andammo dal tappezziere insieme.
Voleva rifare le poltrone del salotto con nuove e tinte e stoffe diverse.
Passammo un piacevole pomeriggio primaverile e pieno di sole. Aveva ritirato le
analisi e i risultati erano soddisfacenti.
“Come vedi questa stoffa fiorata accanto alle righe della poltrona di mia nonna” mi
chiese ridendo?
“Un pugno in un occhio”, risposi
Mi faceva sentire cosi bene vedere quegli occhi ridere!
” Forse a piu sobria questa o quest’altra… Non trovi che i colori pastello si intoni no
meglio con il resto della mobilia?”
“Decisamente si a meglio”, risposi.
” Come sei paziente”, mi disse.
“Paziente? Replicai. Mi piace scegliere le stoffe.”
“Non mi riferivo a quello”, aggiunse. “Sei molto tranquilla in generale, dico, su
tutto!”
“Dici”? Risposi io, non avendo chiaro il senso di quello che mi stavo dicendo.
Lo capii il giorno successivo quando mi disse che non aveva nessuna voglia di
cambiare la stoffa del salotto ma che voleva provare a far finta di niente.
“Tu ci credevi davvero che volevo cambiare tutto?”
E io le risposi: “non tutto, non c’e motivo, solo quello che a possibile cambiare.
Sicuramente la stoffa. Se questo ti fa star meglio!”
Mi guardo sospettosa, stavo mentendo a lei e a me; e se ne accorse e me ne accorsi.
“Ok” — aggiunsi- ” hai ragione tu. Adesso non serve, forse piu in ly.”
“Forse”, ripete. Mi prese sottobraccio e disse: “ci facciamo un giro al mercato dei
fiori?”
“Volentieri, ho ancora un po’ di tempo”.
“Sai”- comincio- “sto valutando la possibility di operararmi.” La a scoltai in
silenzio…
“Se la chemio funzionery, potrei farmi asportare il polmone malato…”
“Il polmone, tutto il polmone!”. Esclamai
“Si, con uno potrei vivere abbastanza bene sai? Mi sto documentando: in Germania e
un tipo di intervento che fanno bene e co n successo e i risultati sono buoni. Voglio
pensarci pero.”
“Certo, devi pensarci bene.”
Passarono diversi giorni senza vederci o sentirci.
Quella mattina mentre la casa profumava ancora dei fiori che avevamo comprato
Patrizia mi disse: “ho paura, sto male un’altra volta. Ho male ovunque, respiro male,
inghiottisco male, sto anche perdendo i capelli, guarda” e mi mostro una chiazza sulla
nuca. Era quello il cancro?.
L’abbracciai forte. “E’ dura eh Pat!”
“Si a durissima, come a difficile curarsi”
“Lo vedo”.
Si accascio su una poltrona e si copri con plaid che era poggiato sul bracciolo.
Mi misi in ginocchio accanto a lei e le presi la mano che piano piano cominciai ad
accarezzare come se volessi calmarla, rassicurarla e tranquillizzarla. Poco dopo si
appisolo.
“Sto incominciando ad arrabbiarmi.” Mi disse quel pomeriggio a casa mia.
“Era ora, mi chiedevo quando l’avresti fatto, Pat!”
“Sono arrabbiata con i miei genitori che mi danno il tormento, con mio marito
quando mi cerca e mi vuole, con i bambini che non mi ascoltano mai, con i colleghi
che fanno finta di niente, e con gli amici che mi chiedono continuamente come sto.
UFF!, come sono incazzata.”
“E con il tuo cancro, immagino.” Aggiunsi io
“E con il mio cancro” ripete lei.
“Tu sei una delle poche persone c he non fa finta di niente” aggiunse.
“Beh, anche tu con me non fai finta di niente.”
“Dici che a questo?” Mi domando
“Forse, ma immagino che non sia facile ne in un modo ne in un altro.”
“Si, non a semplice, ma perche cazzo mi sono ammalata. Un cancro ai p olmoni a me
che non ho mai fumato e che sono attentissima alle malattie respiratorie!”
Mentre dice questo mi accorgo di avere la sigaretta accesa in mano.
“Smetti di fumare, incosciente” esclamo.
“Lasciami fumare” rispondo io mentre do un tiro alla mia sig aretta “Anche mia
madre a morta per un cancro ai polmoni senza aver mai fumato”.
“Oddio, scusami, non lo sapevo” mi disse con molto imbarazzo.
“Scusami tu”, le risposi mentre continuavo a fumare.
“Quando a morta tua madre?” mi chiese
“Avevo 11 anni” ” E lei? ” 46.
“Tu, quanti anni hai?”
“Quasi 41, e tu?”
“41, appena compiuti”.
” Com’e stato per te?”
“Per me e mio fratello?”
“Si, come a stato per voi?
“Doloroso, Pat. Doloroso e difficile”
“E per tuo padre?”
Ripetei: “doloroso e difficile.”
“Si a mai risposato?”
“No, non si a mai risposato. Non so se ha avuto altre donne, ma non si a piu
risposato.”
“Lui come sta?”
“Abbastanza bene”
“Ti ricordi di lei, qualche volta?”
“Certo”, risposi ” spesso- anche adesso”
“E tuo fratello si ricorda di lei?, e quando era piccolo?”
“Hai paura che i tuoi figli, se tu dovessi morire, non si ricordino piu di te?”
“Si!” I suoi occhi erano pieni di lacrime e anche i miei.
“Non so se mio fratello abbia un ricordo reale di lei, lui era poco piu piccolo di me.
Mi piace pensare che potrebbe avere la possibility di farlo. Forse potrei parlare con
lui di questo, non ricordo di averlo mai fatto.”
“Ha sofferto molto tua madre?”, riprese a chiedermi.
“Mia madre non ha cominciato nemmeno la chemio. Si Pat, ha sofferto molto.”
“Mi stai dicendo che sono avvantaggiata?”
“No, ti sto dicendo che non tutti i tumori sono uguali e che 30 anni fa era sicuramente
diverso da oggi. Non so se meglio o peggio, ma sicuramente diverso.”
“Cosa ne pensi della mia idea dell’operazione?”
Non risposi.
“Sai, potrei vivere di piu e meglio. Questo sarebbe moltissimo per me.”
“Certo, Pat; ma questo lo potresti fare a cominciare da ora” aggiunsi.
“Da ora? Non ho molte possibility”
“Fra molte e nessuna c’e una grande differenza. Perche non provi a considerare che in
quelle poche possibility che potrebbero esserci, qualcuna potrebbe essere per te.
Anche se fosse una sola” Raramente mi sono sentita cosi decisa.
“Mi sto dando per spacciata eh?.”
“Si”, risposi ancora.
“Ma non era solo questo quello che volevo dirti. Cominc iare da ora a vivere di piu e
meglio.”
“Come?” mi domando e si domando.
“Prendendoti piu cura di te.”
“Ma io giy mi sto curando.”
“Non a la stessa cosa Pat, e tu lo sai.”
Mentre parlavo ero presa da una sorta di foga, un misto di eccitazione e paura,
impotenza e rabbia, determinazione e arrendevolezza, e le dissi ancora: “Curarsi o
prendersi cura non a la stessa cosa. Ti stai trascurando Pat, ti stai trascurando molto”
“Hai ragione, io non mi sto prendendo cura di me”
“Ci tenevi cosi tanto?.”
“…Appunto ci tenevo, ora non ci tengo piu, non tengo piu a niente, non c’e piu
niente”
Disse queste parole con un tono cosi duro, cosi aspro, la voce ferma e lo sguardo
immobile.
Mi spaventai del suo dolore. Mi avvicinai e le dissi: “Sei molto incazzata eh Pat?”
” Si ” mi rispose “e mi sento tanto sola”
Il suo sguardo si ammorbidi “E’ vero, sai, non servono tante possibilita, ne basta una
sola.”
“Si Pat, con l’operazione o senza, ne basta una sola”.
Credevo in quello che ci eravamo dette? O era solo un’illusione per le i e per me?. Non mi diedi alcuna risposta, mi sentivo stanchissima e sfinita. Immaginai lei, come doveva sentirsi!
I giorni passavano e Patrizia reagiva meglio. La vedevo e la sentivo; mi era diventato impossibile non farlo. Aveva ripreso nuovamente il lav oro e la grinta e la forza che la caratterizzavano.
Una sera la chiamai per avere informazioni su un medicinale.
Stava a letto, un’altra volta.
Ho vomitato tutto il giorno”, mi disse, “la gola mi fa male per lo sforzo e non mi
reggo in piedi”
“Hai bisogno di qualcosa?”, le chiesi, “ti prendo i bambini vuoi stare un po’
tranquilla?”
“Ci sono i miei, li ho fatti tornare. Ho bisogno di loro e anche i bambini hanno
bisogno di loro, hanno bisogno di tutto”, continuo con un filo di voce.
” E tu?” ripresi a chiederle.
“Io vorrei tanto dormire, dormire e dormire. Svegliarmi e non sentire piu nulla.”
Delle sue parole, quello che conservai dentro di me fu “svegliarmi” e pensai. Ce la fa
ancora.
E allora le dissi “mi sembra un bellissimo sogno, poi aggiunsi, stai fi nendo anche
questo ciclo, dopo starai meglio.”
“Si, staro meglio e se le analisi saranno buone a luglio andro in Germania ad
operarmi.”
“Hai deciso?”
” Si, ho deciso. Anche Rocco e d’accordo. Non voglio che i miei figli si ricordino di
me malata e sofferente; non voglio che continuino a vivere tutto questo. E’ troppo. E’
troppo per loro, sono troppo per loro. Andrebbe a finire cosi, lo so. Invece con
l’intervento potrebbe essere diverso capisci?”
“Si, capisco Pat e ti ammiro molto per la decisione che hai preso.”
“E se poi cambiassi idea all’ultimo momento?”
“Ti ammirerei lo stesso per esserti data un’altra possibilita. Vuoi che salga ti faccio
un po’ di compagnia?”
“No, Voglio dormire, ti chiamo domani.”
Il giorno dopo non chiamo.
Passo qualche giorno e una mattina, molto presto, mentre aprivo le imposte della
finestra, alzai lo sguardo verso la sua. La vidi nello stesso gesto. Mi vide e si sbraccio
per salutarmi, io feci lo stesso. E cosi comincio la sua e la mia giornata. Come tante,
diversa da tutte.
La sera mi chiamo.
“E’ stato bello questa mattina” disse.
“Anche per me” risposi.
“Come ti senti?”
“Abbastanza bene. E’ tutto apposto. Questo fine settimana andremo a Modena per un
ultimo consulto, per scrupolo sai?”
“Certo, fai bene.”
“E poi organizziamo la partenza. Dobbiamo sistemare i bambini. Andranno con la
tata giu a Reggio dai nonni. Mi sento piu tranquilla, a inutile che rimangano a Roma,
con questo caldo, ti pare? E poi non so quanto ci vorra!!!
Dopo mi voglio fare una bellissima vacanza, partire tu tti e quattro e prima di
settembre non ci vedrete! Rocco mi sta preparando una sorpresa, un viaggio a
sorpresa! L’idea mi piace moltissimo.”
“Ti sento contenta ed eccitata!”
“Lo sono. Ti va di salire un po’ dopo?”
“Sistemo la bambina e salgo” Risposi
Come stava bene! Aveva ripreso colore, aveva i capelli legati, un aspetto compatto
gradevolissimo, leggermente truccata e senza occhiali.
“Entra sono sola, Rocco a uscito con un amico e i bambini dormono”.
“E tu che facevi?”
“Stavo guardando le mie lastre, vuo i vederle, vuoi vedere il mio cancro?”
Mi avvicinai un po’ titubante, ma non esitai. Almeno ora lo vedevo! Il mostro.
“Guarda, eccolo qui, vedi, si vede benissimo”.
E mi mostro la “foto” del suo cancro – una massa compatta sul suo polmone.
Non fu cosi tremendo vederlo. E questo mi disoriento un po’
“Vedi”, mi disse “possono asportarlo tutto. Il resto a limpido, a sano ancora.”
Mi fece piu impressione immaginare il buco che sarebbe rimasto come un segno
indelebile.
“Vedi,” sottolineo ” l’altro a integro. E’ solo qui la mia malattia, le cellule impazzite
sono qui.”
Mentre Patrizia continuava ad indicare con il dito la pazzia delle cellule fantasticavo
di urlare e battere con tutta la mia forza contro quella macchia. Mi sentivo forte e
sentivo lei forte e le dissi. “e tanto che i bambini dormono?”
“No, ma erano cosi stanchi che sono crollati immediatamente, ma perche mi chiedi
questo ora?” domando.
“Ora ti faccio vedere” le risposi
Chiusi le porte, afferai tutti i cuscini che vidi e incominciai a scaraventarli c ontro
quella macchia.
“Che fai, sei impazzita!” esclamo.
E io continuai con insulti, parolacce…
E lei incomincio a venirmi dietro. Prese tutto quello che era possibile lanciare. Penne,
matite. Con della carta facemmo delle palle, tirammo anche quelle. “Vai via non ti
voglio” urlava. “Lasciami vivere, voglio vivere e senza di te. Vatteneee!!!”
Duro per po’ e la stanza sembro un campo di battaglia. Ridevamo e piangevamo
contemporaneamente. “Che follia” mi disse.
“Non avrei mai pensato di fare questo con il mio cancro”.
“Nemmeno io” risposi.
Ci abbracciamo forte, soddisfatte ma tristi, molto tristi.
“C’e un altro problema” aggiunse.
“Quale?” domandai
“Dire ai bambini di questo viaggio, non so come dirglielo e non so cosa dirgli.”
Decisi di fare un po’ d’ordine intorno a noi. Rimasi in silenzio ancora un po’ mentre
sistemavo i cuscini sui divani e mentre Patrizia conservava i suoi referti.
“Loro sono piccoli Pat, ma non stupidi.”
“E’ questo il problema” mi interruppe lei.
“Ma non per loro. Per te, perche sai che capiscono, che hanno capito.”
“E’ vero, non so come proteggerli”
“Loro sanno che sei ammalata, che ti stai curando. Sanno che curi altre persone
ammalate, che lavori in un ospedale. Ora sei tu che hai bisogno di un ospedale e di
un’operazione per stare meglio. Pensi che possano capire questo?”
“Si, ma penso a come si sentiranno sapendo che sono in ospedale, in un’altra citta,
lontano da loro.”
“Pat!, spesso partivi per lavoro, con Rocco o da sola, qual’e il problema?”
“E’ che non li voglio lasciare, non ce la faccio.”
E incomincio a piangere disperatamente, mentre stringeva i pugni verso il suo petto.
“Non ce la faccio, non ce la faccio a lasciarli.”
Mi avvicinai e la toccai appena.
Il suo pianto era profondissimo e anche il suo dolore.
“Non posso, non ce la faccio” continuava.
L’abbracciai e le dissi: “Patrizia, lo stai facendo, li stai lasciando adesso, li stai
lasciando ora, Pat” “Dio, come e difficile…”
Non dimentichero mai quel momento. Era un dolore che non avevo mai sentito
prima.
Lentamente si quieto, riapri i suoi pugni e i suoi occhi.
E anche io con lei lasciai andare mia madre, il mio bambino mai nato, e lei.
Rimanemmo vicine in silenzio ancora un po’ e incominciammo a dondolarci
lentamente, come a cullarci, sostenendoci una alla spalla dell’altra .
“Non so se ci vedremo prima della partenza” mi disse.
“Vorrei fare tante cose…”
“Certo Pat, buona fortuna.”
Ci stringemmo forte le mani, lei mi sorrise e mi disse: “Sto molto meglio, mi sento
viva. Crrazie, grazie di tutto.”
Mi abbraccio e ci lasciammo.
Feci le scale di corsa, senza mai voltarmi. Non vedevo l’ora di abbracciare mio
marito e mia figlia.
Patrizia non la rividi piu, mori di setticemia 48 ore dopo l’intervento.
Adesso, a distanza di tempo, mi piace pensare che non sia stata la malattia a ru barle l’ultimo suo respiro ma la possibility che si e data di vivere fino all’ultimo momento.
Bibliografia:
Berg E. Parole prima del sonno, Longanesi, Milano, 1995
Borgna E. L’arcipelago delle emozioni, Feltrinelli, Milano, 2001. De Santi A. ( a cura di ) Il dolce morire, Carocci,
Lewis, C. S., Diario di un dolore, Adelphi, Milano 1990
Kubler Ross E. La morte e il morire, Cittadella, Assisi, 1988.
Kubler Ross E. ” L’anello della vita“, Frassinelli edizioni, 1998
Spinsanti .S., Le separazioni nella vita, Cittadella, Assisi, 1985